Musicoterapia Veneto

L’integrale dell’ultima intervista al Maestro Manzi

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L’intervista ad Alberto Manzi è stata realizzata a Pitigliano (GR) da Roberto Farnè e Luigi Zanolio il 13 giugno 1997.
Un particolare ringraziamento a Sonia e Giulia Manzi

Primo video


Cari amici, buona sera.
Eccoci nuovamente insieme per imparare a leggere e a scrivere.
Io direi, però, di più. Per imparare a conoscere meglio il mondo e noi stessi.

Sa quante volte io ho sbagliato in televisione di proposito, per far vedere che sbaglia pure il maestro. Per cui è umano che se tu sbagli non ti devi preoccupare, andiamo avanti perché tanto sbaglio pure io…buona notte.

Io, tu, lui, loro, noi
Ma come uomo sono l’unico? Questo è quello che dobbiamo chiederci. Sono io solo che lavoro, io solo che studio, io solo che mi preoccupo di conoscere sempre di più? O in tutto il mondo ci sono altri uomini come me che pensano, che studiano, che lavorano, che sudano, che soffrono come soffro, lavoro e studio io, e noi? Ecco perché io, tu, lui, loro, noi, siamo tutti uguali in questo.

Non sono stato mai pagato dalla Rai. Ricevevo duemila lire a trasmissione per il rimborso camicia. Perché il gessetto si attaccava al bordo della manica della camicia.
Perché non ero pagato? Perché io ero un Insegnante dello Stato!

Secondo video

Una sola volta mi hanno obbligato di non parlare di un argomento, quando uccisero Kennedy, perché dissero che se lei ne parla può dare fastidio, da un punto di vista diplomatico. Ed io obbediente ne parlai subito alla sera.

Il mio sogno da ragazzo era di fare il capitano di lungo corso. Per cui ho studiato all’Istituto Nautico. Però studiavo nello stesso momento all’Istituto Magistrale, perché l’Istituto Magistrale era gratuito, allora, per i maschi. E l’Istituto Nautico perché mi piaceva a me. Però ai miei genitori non piaceva. Però pensando sempre di fare il maestro. Dopo l’esperienza della guerra l’idea era di dare una mano ai ragazzi. Questo era il mio pallino.

L’aneddoto del primo incarico da maestro in carcere.
1946 La prima esperienza di insegnamento nel carcere minorile Aristide Gabelli di Roma appena tornato da sotto le armi.
Con una classe di 94 ragazzi dai nove ai diciassette anni e mezzo perché poi al diciottesimo anno sarebbero passati a Regina Coeli. Avevo circa ventuno, ventidue anni al massimo. Quando sono entrato sembravo un ragazzo come loro, dimostravo di meno della mia età. I ragazzi mi hanno preso per uno di loro, inizialmente.
-  Mi dicevano: ti hanno pizzicato.
-  E io dicevo: e tu perché? E in un’ora e un quarto sapevo un po’ la storia di ciascuno.
E si chiedevano: quando arriva il maestro?
-  Allora ho detto che il maestro sono io.
-  Che pacchia, sai che facciamo. Tu ti metti la in fondo, ti porti il giornale, se fumi ti porti le sigarette, noi quattro ore stiamo tranquilli, nessuno ci rompe le scatole e noi avremo quattro ore di libertà.
-  Pure a me andrebbe bene però lo Stato mi paga, poco, però mi paga. E io devo fare scuola.
-  Allora te la giochi la partita!
Io pensavo di giocarsela a carte!
-  Allora ce la giochiamo, se perdo io tu farai scuola, se ci riesci. Se vinco io, tu ti metti li all’angolino e buona notte.
-  Tira fuori le carte.
-  Ma quali carte, qui è a cazzotti!
-  Pensai, io ho fatto quattro anni di Marina per cui le avevo imparate un po’. A me è dispiaciuto però l’ho picchiato!
E questo è stato il primo incontro con la scuola che ho avuto. Dopo un mesetto di contrasti sono riuscito ad interessarli a qualcosa. Pio abbiamo cominciato a scrivere un giornalino che credo fosse il primo giornale che sia stato scritto nel carcere minorile nel ‘46/’47 ed era intitolato “La tradotta”. Di tutti questi ragazzi, usciti poi dal carcere, solo due di novantaquattro sono rientrati in prigione! E mi hanno detto che è una bella media. Questa credo che sia stata la mia scuola….

I ragazzi sono stati un po’ quelli che mi hanno aiutato a capire le cose.

L’esperienza del corpo umano con i bambini della scuola.

L’esperienza delle ventuno corde vocali con Marco.

Terzo video

Riflessione
Dentro la scuola bisogna ottenere una tensione cognitiva, una curiosità che spinge a voler sapere. Poi io devo sapere quello che lui sa, perché se non so quello che lui sa non riesco a lavorare. Questo discutere insieme obbligava i ragazzi a rivedere quello che loro sapevano, a dirlo, e poi l’obbligavano a parlare. Questo era il punto. E la scuola funzionava, questi venivano contenti a scuola. Questa era la cosa essenziale.

L’esperienza del tema: come mi lavo i denti.

L’italiano per gli extracomunitari.

Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
A cosa serve il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione? A giocare al parlamentino, perché non si può parlare di scuola, perché la gente che ci sta spesso non è più nella scuola a lavorare attivamente. O è al Sindacato o è Direttore o è Preside, però sempre distaccati. Soltanto in quattro eravamo insegnanti che insegnavano ancora e ho capito che uno non va li per aiutare, a parlare seriamente della scuola. Se sei del partito, di quella parte… Il Ministro Falcucci mi chiese: ma lei con chi sta mescolato insieme?
-  Io non sono stato mescolato mai, sono solo.
-  Ah! Lei è un cane sciolto! Allora può pure abbaiare quanto vuole.

Insegnare storia
Non insegnavo storia! Perché potevo raccontare la leggenda di Ulisse, l’Odissea che li interessava. Ma il concetto di storia significa avere chiaro il concetto di spazio e di tempo che a dieci anni un bambino normalmente non ha.

America del Sud

Una sua poesia
Il grigio autunno,
d’un tratto,
s’è avvampato di luce.
Un fiore è sbocciato.
Ora io cammino
In un luminoso immenso.
Grazie

Alberto

[ Pubblicato on-line il 25 marzo 2016 ]
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