Musicoterapia Veneto

Io, diverso da te

Simona Colpani

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“Un problema non può essere risolto con lo stesso tipo di pensiero che lo ha generato”
A. Einstein
“Mio figlio Ernest diventerà celebre e tutto il mondo parlerà di lui. Ha uno straordinario talento per il violoncello”
Grace Hemingwai

Penso che l’aggettivo DIVERSO riassuma il senso del crescere e dell’educare.
Un bambino crescendo diventa ogni giorno diverso dal giorno precedente pur essendo sempre lui: non diventa un altro individuo, ma tutto sommato diventa una persona diversa.
Non piange più per dire che ha fame, ma dice “am, pappa”; non strappa più un gioco di mano ad compagno, ma gli chiede se glielo presta; non si fa più leggere le storie della buona notte, ma si addormenta con il libro sul naso; non attende più la mamma fuori da scuola, ma da solo percorre la strada per arrivare a casa; non viene più accompagnato in un luogo collocato chissà dove da un adulto, ma prende il pullman o l’auto; non torna più a casa la sera, ma va a dormire in una casa che ha scelto come propria; non ha più bisogno di essere accudito in prima persona, ma ha bisogno di tempo e di attenzione e che qualcuno si prenda cura dei suoi figli quando lui lavora;…
La nostra vita è un tendere verso ciò che ancora non si è, ma potremo diventare.
Viste da questa prospettiva, le urla e le proteste di un bambino non fanno più perdere la pazienza: sono una modalità diversa, “immatura”, di raccontare un bisogno. Non sempre quello che un bambino dice di volere corrisponde al reale bisogno, anche se lui di solito dice “Voglio!!”. Si vuole qualcosa per cui siamo disposti a compiere un atto di volontà [1]. In altre parole si vuole qualcosa, nel senso più profondo del termine, anche quando quel qualcosa non è più sotto i miei occhi, o anche quando l’ho tra le mani! Capita infatti che i bambini dicano di volere un gioco e poi, non appena è stato loro acquistato, se ne sta a prendere la polvere in qualche sconosciuto angolo della casa. Se crescere è cambiamento, allora il pianto di un bambino ha sempre bisogno di essere ascoltato, ma non sempre di essere assecondato. Io –adulto- dico di no a te –bambino- senza arrabbiarmi, perché so che, con questo pianto, stai raccontando -con gli strumenti che hai (e che non si avvicinano neppure lontanamente alla consapevolezza e alla padronanza linguistica che dovrebbe possedere un adulto)- che in questo istante vuoi questa cosa. Il mio compito è dirti che le cose si possono conquistare con il tempo, che non si possono avere tutte e che ci sono modi diversi per chiederle. Altre volte ancora capita che dicano di volere una cosa, ma in realtà non è quello che vogliono veramente. È ad esempio il caso di quando non si sentono assecondati e ci dicono: “Vai via, non ti voglio più”. Dietro a frasi come queste ci sta in realtà proprio il contrario, e cioè il bisogno di essere abbracciati.
Invece, nella realtà quotidiana, le urla di un bambino straziano, ci rendono fragili. Dover lasciare un bambino alla scuola materna in lacrime non è una bella esperienza. Ci siamo passati quasi tutti. Il bambino ci dice che vuole una cosa diversa da quella che “vogliamo” noi. Ed il nostro desiderio subito si modella: non vorremmo più lasciarlo andare!! È proprio in quel momento invece che il bambino ha bisogno di un genitore che con un sorriso rassicurante accolga il suo pianto, gli dica che ha ragione se è triste, che anche la mamma lo è, ma che la mamma sa una cosa che lui non sa: in primo luogo che con le maestre e con i compagni di classe potrà vivere esperienza che stando solo con la mamma non sperimenterà, in secondo luogo che le maestre sono bravissime a consolare i bambini e che se lui ne avrà bisogno la maestra sarà lì per lui.
Occorre che l’adulto riesca a vivere un’emozione diversa da quella del bambino, o che almeno riesca a gestirla, ad elaborarla, in modo diverso. Che cosa spaventa il bambino? Andare incontro ad una giornata diversa [2] da quella che si aspettava: non sapere come sarà. Questo per un bambino di tre anni può anche significare che non sa se la mamma tornerà. Altre volte, ora che sa come sarà la giornata alla scuola dell’infanzia, sa proprio bene come sarà: diversa da com’è a casa! Di cosa ha bisogno? Ha bisogno di qualcuno che lo sostenga durante il tempo che gli serve per abituarsi e per conoscere, entrambi elementi indispensabili per riuscire ad apprezzare e gustare la novità.
Anche noi adulti siamo spaventati dal diverso: quando il nostro bambino ad un anno e mezzo inizia a dire di no a tutto quello che gli offriamo ci lascia spesso senza armi. Basta che dica che non vuole mangiare un cibo che il menu familiare si adatta sulle nuove esigenze! Sapori diversi raccontano di aspetti diversi del mondo, se non addirittura di altri mondi. Accogliere sapori diversi significa porsi in atteggiamento di apertura verso il mondo. Capita che i bambini, quando stanno affrontando momenti difficili, richiedano di consumare sempre lo stesso cibo. Ci dicono che sta cambiando molto, anzi troppo, attorno a loro. Ci dicono che stanno facendo fatica e che almeno con il cibo [3] vogliono avere sotto controllo ciò che accadrà. Lasciando uno spazio ai legittimi gusti personali, educare a sapori diversi è educare alla socialità, all’apertura a culture diverse. Ricordo che, al nido frequentato dai miei figli, c’era un bambino immigrato di recente con la sua famiglia. Non mangiava nulla se non yogurt bianco e pane. Quando alla festa di fine anno come mamme fummo invitate a preparare cibi dolci o salati da condividere, la mamma di questo bambino preparò cibi tipici del proprio paese di origine. Lì vedemmo il bambino mangiare di gusto, mentre dovemmo assistere alla fatica di altri bambini. Per la verità i bambini che assaggiarono quel cibo nuovo furono pochi, perché la maggior parte dei genitori non assaggiò e non propose ai propri figli l’assaggio di un cibo strano, diverso, e di cui quindi non si fidavano. La scena mi ricordò quello che mi era capitato di vivere qualche anno prima quando, ad un congresso svoltosi nel nord Europa, il gruppo dei congressisti italiani fu invitato dal proprio referente ad andare a mangiare… in un ristorante di cucina italiana!!!
L’origine etimologica di Diverso è di – versuus: volto altrove, che guarda da altra parte. Lo fanno i nostri figli quando iniziano a dirci di no, lo fanno quando, adolescenti, operano scelte diverse da quelle che desidereremmo noi. È la separazione che ha consentito ai nostri figli di essere altro da noi, ovvero diversi da noi, e con questo a rendere difficile il lavoro di genitore: quanto e quando accogliere una richiesta da parte del bambino che è diversa dalle mie attese? Quando e fino a che punto devo invece bloccare la richiesta che, in quanto diversa dalle mie aspettative, percepisco come sbagliata? In altre parole: quanto posso dire di no?
Per essere genitori occorre che pensiamo in modo diverso dai nostri figli, altrimenti siamo amiconi, non guide fidate. I nostri figli non devono fare quello che vogliamo noi, ma noi dobbiamo avere ben chiaro quali sono gli aspetti che riteniamo inderogabili e quelli che invece
possono seguire un divenire diverso da quelli che ci eravamo immaginati o che ci eravamo augurati.
Mi ha fatto pensare trovare che “diverso” condivide l’origine etimologica con divergente (caratteristica indispensabile al pensiero creativo), divertente (e quindi anche ri-creativo!) e con diviso [4] (di-visus: il viso che guarda da un’altra parte). E tutti hanno la medesima radice di, da cui viene anche due [5]. Due senza il quale diventa impossibile il dialogo: la parola che corre tra due.

Note

[1Ancora una radice etimologica per aiutarci a tornare al significato originario dei termini: volere e volontà condividono la medesima radice.

[2La diversità è ciò che ci divide. Dividendosi, separandosi dalla mamma, il bambino inizia a costruirsi un’identità propria, a pensare a modo suo e ad addentrarsi in luoghi diversi da quelli dove è presente la mamma. Eppure è proprio la separazione, l’essere “altro da”, che consente al bambino l’apprendimento per imitazione, valorizzato anche dalle recenti scoperte dei neuroni mirror. Si può imitare solo chi ci sta di fronte e fa una cosa diversa da quella che saremmo riusciti a pensare noi. Sta in questo la grande ricchezza, al di là dei programmi decisi dagli adulti, dei contesti sociali, a partire dagli asili nido.

[3Il cibo è il loro primo ed originario incontro con il mondo come altro da sé che loro fanno volontariamente entrare e che li cambia facendoli crescere: l’allattamento.

[4Sarà un caso che il segno che indica la divisione sia dato da due punti? O da un “taglio” a metà (dividere a metà è propriamente dividere per due!) come nelle frazioni?

[5La lettera D (quella con il pancione), detta dentale, è dei denti che tagliano, dividono in due, ci danno qualcosa che è dentro (la bocca) e qualcosa che è fuori. Allo stesso modo è della Donna = Domina che, gravida, è la prima Domus (casa) dell’uomo. E la domus è quello spazio ritagliato, che divide un luogo intimo vissuto come proprio, che mi accoglie come nessun altro, da un luogo comune, di tutti. La lettera D come lettera che taglia, che divide, che indica il diverso, si evidenzia anche nel prefisso dis-: dis-lessico (colui che legge in modo diverso, che ha competenze diverse), dis-grafico, dis-funzione (che funziona in modo diverso), ecc. Sull’argomento vedi Kallir, Segno e disegno, psicogenesi dell’alfabeto, ed. Spirali/vel e G:Cremaschi Trovasi, M. Verdina, Dal suono al segno, ed. Junior

[ Pubblicato on-line il 21 giugno 2013 ]
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