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Le origini: l’assenza del numero

Note sulla storia del concetto di numero

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Le origini dell’uso dei numeri da parte dell’umanità naturalmente non sono documentate; le prime tracce di qualcosa che si suppone sia un conteggio risalgono a più di 35.000 anni fa, e sono costituite da ossa intagliate con tacche che si pensa indichino un qualche tipo di conteggio (giorni, animali?). Il reperto più antico è forse l’osso di lebombo, circa del 35000 a.C. , un osso che riporta 29 tacche distinte. Uno dei reperti più famosi è invece l’osso di Ishango:


Fig. 1.0a: L’osso di Ishango

Anch’esso intagliato con tacche, sulle quali gli studiosi hanno fatto varie ipotesi, tra le quali quella che si tratti di un computo di giorni (un mese lunare).

Nella figura sotto un osso di renna intagliato risalente circa al 15.000 a.C.


Fig. 1.0b

Anche se non sappiamo datare con precisione quando siano apparsi i primi esempi di “conteggio” nella storia dell’umanità, una cosa è certa: I numeri non sono una parte “necessaria” della cultura degli umani e delle loro capacità di descrivere l’ambiente. Si

può avere l’impressione che l’uso dei numeri sia qualcosa di immediato e "naturale", come se fosse innato, implicito nella struttura della nostra mente come la capacità di percepire il caldo e il freddo, o i colori; ma in effetti si può affermare con sicurezza che le cose non stanno affatto così: c’è stato un periodo in cui gli esseri umani non avevano il concetto di numero e del contare.
La migliore prova di ciò è che esistono tuttora popolazioni che non hanno sviluppato il concetto di numero, e nei cui linguaggi le parole "uno", "due" e "molti" rappresentano tuttora le uniche grandezze utilizzate; si tratta, ad esempio, di tribù Zulu e Pigmei in Africa, di Aranda e Kamilarai in Australia, ed altre tribù isolate in Oceania od in Amazzonia (cfr. [GI]).
Ad esempio una tribù di cacciatori-raccoglitori che vive in Brasile lungo il fiume Maici, i Pirahã, è stata studiata recentemente (un articolo su Science, di Peter Gordon della Columbia University è apparso nel 2004); i Pirahã usano un sistema di conteggio chiamato “uno-due-molti”. In esso, la parola per “uno” si traduce come “circa uno” (simile al nostro “uno o due”), la parola per “due” significa “un po’ più di uno” (simile al nostro “pochi”), e poi c’è una parola per “molti”.
Non è difficile constatare che esiste in ognuno di noi una percezione diretta del numero, una capacità immediata di distinguere quando insiemi hanno una quantità diversa oppure uguale di elementi, che non è legata al contare. Considerate ad esempio gli insiemi in Fig 2.1:


Fig 1.1.

Potete dire quanti sono gli elementi di ognuno di questi insiemi con una semplice occhiata: la percezione è immediata, non avete bisogno di contare gli elementi degli insiemi. La cosa è diversa con gli insiemi di Fig. 2.2:


Fig 1.2.

In questo caso avete probabilmente bisogno di contare in qualche modo gli


Fig. 1.3 (da [GI])

Riassumendo, ciò che abbiamo notato mostra come il distinguere le quantità maggiori di due rappresenti una prima soglia, un primo stadio nell’evoluzione umana verso il concetto di numero, e come in questo stadio già il "tre" rappresenti delle moltitudini indistinte.
Quello che è accaduto nell’evoluzione culturale umana è del resto ben rappresentato in quello che accade nello sviluppo infantile; citiamo di nuovo da [GI]:

"Tra i sei ed i dodici mesi, un bimbo acquisisce in misura maggiore o minore una certa capacità di valutazione globale dello spazio occupato dalle cose e dalle persone circostanti; si rappresenta allora insiemi relativamente ristretti di esseri o di oggetti a lui familiari per natura e numero, per cui di solito a quest’ età può riunire in un solo gruppo alcuni oggetti analoghi precedentemente separati, e nel caso manchi qualcosa a uno degli insiemi familiari se ne accorge subito. Ma il numero che è semplicemente sentito e avvertito non viene da lui ancora concepito in maniera astratta, né lo sfiora l’idea si servirsi delle proprie dieci dita per designare uno dei primi numeri.
Tra dodici e diciotto mesi, poco alla volta impara a fare una distinzione fra uno, due e parecchi oggetti, e a discernere con un’unica occhiata la relativa entità di due raccolte ridotte di esseri o di oggetti. Le sue capacità numeriche sono però ancora imprigionate tra limiti così angusti che gli è impossibile compiere una netta distinzione tra i numeri e le raccolte di cui essi sono i numeri."

Questa è quindi la situazione, diciamo, "di partenza" nell’evoluzione culturale umana: una capacità di percezione immediata di quantità (all’incirca fino a quattro) che comunque non ci distingue dagli altri animali, e una capacità "culturale" di padronanza del concetto di numero praticamente nulla; vediamo quali sono le tappe della "conquista umana dei numeri".

[ Pubblicato on-line il 19 marzo 2016 ]
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